Chi lavora con pazienti afasici sa bene quanto sia difficile prevedere chi migliorerà di più, con quale terapia e in quali tempi. Ma cosa succederebbe se potessimo “guardare dentro” il cervello e capire, prima ancora di iniziare, quali aree sono pronte a lavorare e quali no?
È proprio questo uno degli obiettivi della neuroimmagine funzionale (fMRI): non solo vedere dove si trova il danno, ma anche osservare come il cervello si sta riorganizzando.
Nel momento in cui si osserva una TAC o una risonanza di un paziente con afasia, una delle prime domande che ci si pone è: “Dove si trova esattamente il danno?”
È una domanda legittima, perché sappiamo che le diverse aree del cervello svolgono ruoli distinti nel linguaggio, e la loro compromissione può influenzare in modo significativo sia i sintomi iniziali sia le possibilità di recupero.
Ma quanto conta davvero la localizzazione del danno per prevedere il successo della terapia?
La morfosintassi è una delle componenti più complesse del linguaggio, e il suo sviluppo segue un percorso articolato che si estende dai primi anni di vita fino all’età scolare. Comprendere le tappe evolutive tipiche è fondamentale per distinguere i ritardi fisiologici da veri e propri disturbi e per intervenire tempestivamente in caso di difficoltà persistenti.
La ricerca scientifica ha prodotto numerose evidenze su quali strategie risultino più efficaci per il trattamento della disortografia. Tuttavia, un problema spesso sottovalutato è la differenza tra le lingue in cui questi studi vengono condotti. Molte delle ricerche provengono da contesti anglofoni, in cui il sistema ortografico è opaco, ovvero con regole di scrittura meno trasparenti rispetto all’italiano. Questo comporta la necessità di adattare le metodologie riabilitative alla nostra lingua, caratterizzata da un alto grado di coerenza tra suoni e lettere.
Un paziente bilingue con afasia si presenta in terapia. Parla sia italiano che inglese, ma dopo l’ictus fa fatica in entrambe le lingue. Il logopedista si trova davanti a una domanda complessa:
Quale lingua trattare per ottenere i migliori risultati?
E soprattutto: se alleno una lingua, anche l’altra migliorerà?
Quando una persona ha un ictus e sviluppa un’afasia, spesso la domanda che ci si pone è: “Tornerà a parlare?”. Ma c’è un’altra domanda, forse ancora più interessante: “Come fa il cervello a recuperare la capacità di linguaggio?”
La risposta non è semplice, ma negli ultimi anni la ricerca ha iniziato a svelare come il cervello si riorganizza dopo un danno neurologico.
La flessibilità cognitiva ci permette di cambiare regole e strategie. Scopri come onde beta e gamma orchestrano questo processo nel cervello e nella terapia.
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