Dal parlato allo scritto vs dallo scritto al parlato: due approcci per l’apprendimento della lettura e scrittura (prima parte)
Imparare a leggere e scrivere è un traguardo fondamentale nella scuola primaria, e il modo in cui insegniamo queste abilità può fare la differenza.
Negli ultimi anni si è discusso molto, anche sulla base di ricerche scientifiche, di due diversi approcci all’alfabetizzazione: l’approccio “speech-to-print” (dal parlato allo scritto) e l’approccio “print-to-speech” (dallo scritto al parlato).
In parole semplici, il primo parte dai suoni e dal linguaggio orale per insegnare a leggere e scrivere, mentre il secondo parte dalle lettere stampate per arrivare ai suoni del parlato.
Entrambi gli approcci si basano sul principio alfabetico (la corrispondenza tra i fonemi e i grafemi), ma lo applicano in maniera inversa.
In questo articolo esamineremo cosa contraddistingue ciascun metodo, quali evidenze scientifiche (degli ultimi dieci anni) ne supportano l’efficacia, esempi pratici di come attuarli in classe e le implicazioni didattiche per l’insegnamento della letto-scrittura.
L’obiettivo è offrire agli insegnanti di scuola primaria e secondaria uno sguardo informato e comprensibile su questi approcci, per aiutarli a scegliere e integrare le migliori strategie di insegnamento.
L’approccio “Speech-to-Print” (dal parlato allo scritto)
L’approccio speech-to-print – in italiano, “dal parlato allo scritto” – imposta l’insegnamento della lettura e scrittura partendo dai suoni del linguaggio orale (fonemi) per poi introdurre i segni scritti (grafemi) corrispondenti.
In altre parole, si comincia da ciò che il bambino già conosce (il parlato) per arrivare a ciò che deve apprendere (il codice scritto).
L’alfabeto infatti è stato creato per rappresentare i suoni del linguaggio; i bambini arrivano a scuola sapendo già pronunciare molte parole, ma devono ancora imparare a tradurre quei suoni in simboli grafici e viceversa.
Questo approccio segue quindi la logica naturale dal suono alla stampa: prima si identifica e si lavora sul fonema (il suono) e solo dopo lo si collega al grafema (la lettera o lettere) corrispondente.
Nel concreto, una lezione speech-to-print tipica inizia focalizzandosi su un aspetto del parlato. Ad esempio, l’insegnante può proporre una parola familiare al bambino (es. “mela”) e chiedergli di prestare attenzione ai suoni che la compongono. Guidati dall’insegnante, gli alunni segmentano oralmente la parola in fonemi: “mela” → /m/ – /e/ – /l/ – /a/.
Una volta individuati i singoli suoni, si introducono le lettere che li rappresentano (M-E-L-A) disponendole nell’ordine corretto per scrivere la parola. Durante questo processo, si incoraggia il bambino a “dire mentre scrive” (strategy “say as you write”) ogni suono: pronunciando ad alta voce i fonemi e appaiandoli alle relative lettere, i bambini consolidano il legame suono-simbolo.
Ad esempio, possono usare tessere lettera per costruire la parola mela, pronunciando ogni fonema mentre scelgono la lettera corrispondente.
Dopo aver composto la parola, viene chiesto di rileggere ciò che hanno scritto, riconvertendo gli stessi grafemi in suoni per verificare che la parola “funzioni” – in questo caso rileggono m-e-l-a e riconoscono la parola mela.
Così i bambini trasformano una parola che sanno dire in una parola che sanno vedere e scrivere, e immediatamente la ritraducono in parola pronunciata, completando il circuito lettura-scrittura.
Elemento chiave del metodo speech-to-print è lo sviluppo della consapevolezza fonemica: i bambini imparano a percepire i suoni che compongono le parole parlate e a manipolarli.
Questo spesso richiede un insegnamento esplicito e graduale, perché segmentare i suoni di una parola non è un’abilità intuitiva per molti bambini e deve essere appresa con pratica sistematica.
L’istruzione speech-to-print integra fin da subito tale allenamento fonologico con l’introduzione dei simboli alfabetici: i bambini non aspettano di conoscere tutte le lettere per costruire parole, ma cominciano con pochi fonemi e grafemi a disposizione a codificare (scrivere) parole semplici di senso compiuto.
Ad esempio, anche solo con le lettere A, O, M, S, N, è possibile far loro comporre e leggere parole come maso (non-parola), maso → cambia una lettera → naso, ecc., giocando a sostituire il fonema iniziale (es. /s/ con /m/) per formare parole diverse.
In questo processo, la scrittura (spelling) non viene vista come un’attività separata o posticipata rispetto alla lettura, ma anzi è il mezzo attraverso cui si insegna la lettura stessa.
Il bambino impara a codificare, cioè a rendere visibili i suoni mediante lettere, e contemporaneamente de-codificare, cioè a ricavare suoni dalle lettere, in un ciclo continuo.
Questa doppia attività potenzia l’apprendimento perché coinvolge più canali: ascolto, articolazione verbale, vista e motricità fine della scrittura.
Un altro aspetto caratteristico di speech-to-print è che si introducono sin da subito le complessità del codice alfabetico, in modo guidato. Poiché l’obiettivo è dare ai bambini una comprensione completa di come la lingua parlata si rappresenta in scrittura, non ci si limita a insegnare “una lettera, un suono” in modo rigido.
Ad esempio, in inglese (lingua dalla ortografia complessa) i docenti speech-to-print possono presentare contemporaneamente più modi di scrivere lo stesso suono – ad es. le varie grafie per il suono lungo “ei” (come rain, play, cake, ecc.) – invece di aspettare mesi per introdurle.
In italiano la corrispondenza fonema-grafema è più regolare, ma pensiamo alla lettera C: può rappresentare suoni diversi (/k/ in cane, /tʃ/ in cena) e viceversa il suono /k/ si può scrivere in modi diversi (cane, chiesa…).
Un approccio dal parlato allo scritto rende esplicite queste variabilità non appena i bambini vi si imbattono, così che capiscano la logica reale dell’ortografia piuttosto che memorizzare regole astratte. Il risultato è che gli alunni, per tentativi guidati, sviluppano da subito l’abitudine ad analizzare le parole e a essere flessibili nel leggere/scrivere suoni nuovi.
Questo riduce anche il carico cognitivo: lavorando con parole che i bambini conoscono già nel parlato, l’attenzione può concentrarsi sul rapporto suono-lettera, senza che il significato sia un’ulteriore incognita da decifrare.
In sintesi, nel metodo speech-to-print il bambino parte avvantaggiato perché parte da ciò che sa (le parole che sa dire) per imparare ciò che non sa (come scriverle/leggerle), costruendo in modo attivo e consapevole la propria conoscenza del codice alfabetico.