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Nel momento in cui si osserva una TAC o una risonanza di un paziente con afasia, una delle prime domande che ci si pone è: “Dove si trova esattamente il danno?” È una domanda legittima, perché sappiamo che le diverse aree del cervello svolgono ruoli distinti nel linguaggio, e la loro compromissione può influenzare in modo significativo sia i sintomi iniziali sia le possibilità di recupero. Ma quanto conta davvero la localizzazione del danno per prevedere il successo della terapia?

La lesione cerebrale non dice tutto: ecco cosa influenza davvero il recupero del linguaggio

Non tutte le lesioni sono uguali

Una lesione che coinvolge l’area di Broca, ad esempio, può portare a difficoltà di produzione del linguaggio, con frasi brevi e articolazione faticosa.
Una lesione nella zona temporale posteriore può compromettere la comprensione, portando a una afasia fluente ma priva di senso.

Ma due pazienti con lesioni simili non sempre hanno lo stesso decorso riabilitativo. Perché?

La differenza la fanno le connessioni

Oggi sappiamo che la gravità dell’afasia e la risposta al trattamento non dipendono solo da “quale area” è danneggiata, ma anche da “quanto” e “come” sono coinvolte le connessioni tra le aree cerebrali.

Le fibre bianche che collegano i lobi frontali e temporali (come il fascicolo arcuato o l’ILF) sono fondamentali per il linguaggio. Se queste vie sono parzialmente integre, il cervello ha più risorse per riorganizzarsi.
Al contrario, una lesione profonda che danneggia queste connessioni può ostacolare il recupero, anche se le aree corticali sono relativamente risparmiate.

La mappa delle “disconnessioni”

Alcuni studi recenti stanno creando vere e proprie mappe di disconnessione cerebrale, calcolando quali tratti di fibre sono interrotti in base alla posizione della lesione.
È emerso, ad esempio, che la disconnessione dell’ILF sinistro è fortemente associata a difficoltà nella comprensione e denominazione.
Ma non solo: la quantità di tessuto cerebrale residuo “funzionante” intorno alla lesione può predire con buona precisione l’efficacia della terapia.

Lesione grande = prognosi peggiore?

Non sempre. Una lesione estesa può avere un impatto maggiore, ma non è il solo parametro da considerare. In alcuni pazienti, piccole lesioni in aree “cruciali” possono avere un effetto devastante.
In altri, lesioni più grandi ma “ben posizionate” possono lasciare intatte le reti principali del linguaggio, aprendo la strada a un buon recupero.

Conclusioni

La sede della lesione cerebrale è una bussola preziosa per il clinico, ma non è l’unico fattore da tenere in considerazione.
È la rete che conta, non solo il nodo danneggiato.
Per questo, un approccio integrato che consideri sia l’anatomia della lesione sia la funzionalità residua del cervello, offre una visione più realistica delle possibilità riabilitative.

E in futuro, con l’uso sempre più diffuso della neuroimmagine avanzata, potremo prevedere ancora meglio come aiutare ciascun paziente a recuperare il proprio linguaggio.

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